Burn out


Quanto è importante il lavoro nella nostra vita?

Una domanda retorica.

Ormai, la dimensione professionale non è solo un mezzo per garantirsi un sostentamento, ma costituisce uno spazio ben definito, privato, in cui si cresce e ci si mette alla prova, in cui si riversano le proprie energie e ambizioni.

Investiamo tempo, denaro, risorse fisiche e psicologiche: è per questo che nel momento in cui tra l’individuo e l’ambiente lavorativo si instaura un rapporto conflittuale può nascere un disagio psico-sociale non indifferente.

Lo stress lavoro-correlato è molto diffuso in ambito aziendale e soprattutto dopo questi due anni di pandemia, abbiamo sentito amplificarsi sentimenti di esaurimento energetico, maggiore distanza mentale dal nostro lavoro e ridotta efficacia professionale. Non a caso, l’OMS ha identificato in queste tre caratteristiche le basi del burn out: secondo la psicologa sociale Christina Maslach, docente all’Università della California, l’inserimento del burnout da parte dell’Oms nell’International Classification of Diseases (ICD-11) ha creato in qualche modo confusione, facendo supporre che si parli di una condizione medica, e dunque di una patologia dell’individuo, quando invece si tratta di meccanismi sbagliati delle aziende.

Trattamento non equo, carichi di lavoro ingestibili, scarsa chiarezza dei ruoli, mancanza di comunicazione con il management e imposizione di tempi non ragionevoli per lo svolgimento di un incaricosono le principali cause di questa condizione. In termini di costi, questi dati si traducono in livelli più elevati di assenteismo o di abbandono della posizione lavorativa in cerca di altro da parte del dipendente; una maggiore tendenza ad incorrere in errori e ad esporsi ai rischi con un aumento significativo degli infortuni; tensioni e problemi disciplinari.

Secondo Forbes, la percentuale dello stipendio annuale del dipendente vittima del burnout che impatta sull’organizzazione di appartenenza è del 34%

Per questo, rilevare le disfunzioni nell’organizzazione del lavoro e gestirle è solo un primo passo per l’azienda, la quale ha il dovere di agire attivamente per tutelare i propri dipendenti e sé stessa.

Focus group, questionari, interviste semi strutturate, questi i principali strumenti utili per raccogliere informazioni circa gli aspetti potenzialmente stressanti del lavoro: il confronto diretto con i dipendenti, infatti, permette di mettere in evidenza gli eventuali elementi di criticità e di acquisire suggerimenti per apportare modifiche realmente utili per la risoluzione della problematica.

Un’ottima attività di prevenzione si rivela anche la progettazione di piani formativi focalizzati sulla gestione dei conflitti e sulle soft skills, prevedendo anche dei piani di coaching manageriale per supportare i vertici nella gestione dei casi di disagio lavorativo.

La sinergia tra lavoratori e azienda diviene quindi fondamentale e indispensabile.

Ecco alcune attività che possono essere messe in atto individualmente e che possono generare benifici:

  • Riposare almeno 7/8 ore a notte può aiutare a ridurre lo stress
  • Svolgere dell’attività fisica, garantirsi uno spazio un cui sfogare l’energia negativa accumulata
  • Un’alimentazione ed un’idratazione corretta
  • In caso di smart working, concedersi pause e momenti di rilassamento per non sovraccaricarsi.